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Nov 27, 2013 - Briciole    3 Comments

La bandiga

 

www.polkadotpattern.itDalle mie parti – in Italia, intendo – c’è un termine particolare, che si usa quando si festeggia l’ingresso in una nuova casa: la bandiga… “Vieni a cena da me, che facciamo la bandiga della casa nuova”. E via a gozzovigliare, ovviamente mangiando e bevendo, per festeggiare l’avvenimento…

Ora, ecco il mio post di bandiga; in fondo mi sento di avere traslocato. Ancora non so bene dove, e confesso che sono un po’ prevenuta dopo avere letto vari commenti e scontri che altri hanno avuto riguardo questa migrazione e i suoi luoghi di partenza e arrivo. Mi sembra di essere in un loft molto in, dove scrivere post ha a che fare con visite, contatti, numeri che crescono, visibilità, guadagno addirittura (e lasciamo stare l’eventuale “viralità” attraverso i social)… Tutte cose che mi fanno rabbrividire, ma spero di sbagliarmi.

Intanto mi giro intorno in questo nuovo ambiente e, come spesso capita nei luoghi reali, sapere che ci sono vecchi amici aiuta, e non poco.

In un momento di stizza mi sono detta – per l’ennesima volta ma per motivi diversi dalle altre – “Adesso chiudo tutto, non fa per me”.

La filosofia del “tentar non nuoce”, che per esperienza diretta ho scoperto può portare piacevoli sorprese, ha vinto anche questa volta.

Dunque muoviamo i primi passi; spero di riuscire ad eliminare ciò che non mi aggrada, così come da una casa si possono togliere orpelli inutili, o tinteggiare le pareti di un colore che ci faccia più allegri.

Soprattutto, si deve poter entrare in queste stanze; e finora ho letto solo lamentele. Commenti, log in, log out… se faccio la bandiga della casa, ci si deve stare comodi, magari anche sul tappeto con un po’ di cuscini, un po’ di traverso e stretti, ma non deve servire la parola d’ordine per entrare, o no? Funziona come metafora? Non so… Adesso vediamo se funziona come blog, poi ne riparliamo.

 

Ago 4, 2013 - Briciole    4 Comments

Ogni promessa…

 

Come promesso ecco il post – sempre ascrivibile alla categoria “Cazzeggio estivo” – sulla borsa di Louis Vuitton… o del contrappasso, si potrebbe anche dire. Oppure “Se Maometto non va ecc…”

Ci sono due antefatti dietro questo oggetto del desiderio (non mio, ma che tra poco –  e per poco – entrerà in mio possesso).

Antefatto Uno.

Risiedere in Cina, in prossimità di Shanghai, perlomeno, significa poter accedere a luoghi di perdizione – nonché siti internet – in cui si possono soddisfare i desideri più nascosti in fatto di fashion… Soprattutto nel campo delle borse, che a quanto pare sono un must e un oggetto di culto anche per le ragazze cinesi.

In pratica, con un po’ di conoscenze nel campo pelletteria e cerniere, una montagna di desiderata e la faccia stagnata pronta alle contrattazioni più feroci, ci si può accaparrare, per l’equivalente di 50 euro, ciò che nei negozi “autorizzati” può costare quanto uno stipendio. O due. O tre…

Gli articoli Louis Vuitton, poi, sono molto ambiti, tanto dalle occidentali, quanto dalle signore con gli occhi a mandorla, fatto sta che, mio malgrado, ho vissuto circondata da tali oggetti e mi sono documentata sul meraviglioso mondo del fake.

Sono anche giunta alla conclusione che, essendo io assolutamente incapace di contrattare, non sapendo distinguere la pelle vera da quella finta, né tantomeno avendo un diploma in cerniereborchieeannessi, era molto meglio se avessi lasciato questo sport ai professionisti.

Antefatto due. Non sopporto gli articoli con logo reiterato, li aborro; liberi di comprarli, gli altri, ma non fanno per me; e non mi piace nemmeno la sensazione da catena di montaggio che danno: tutti uniformi e uguali. Con l’equivalente di 50 euro, soprattutto dove abito io in Cina, si comperano sete meravigliose, anche borse, di taglio e design particolarissimo… e originale… perché buttare i miei soldi in qualcosa che potrei trovare anche in Italia – vabbè, non sgancerei mai uno stipendio, o due o tre, ma il concetto è: perché non svenarmi per qualcosa di davvero bello e, nove volte su dieci, unico?

Quindi ho attraversato i primi sei mesi di espatrio rimanendo indenne:  niente prodotti fake, nonostante le pressioni del consorte che, per giustificare le sue spese pazze, voleva placare i sensi di colpa comprando qualcosa anche a me.

Fino alla settimana scorsa, quando nella casella di posta elettronica mi sono trovata una foto di lei…http://www.louisvuitton.it/front/#/ita_IT/Collezioni/Donna/Borse-e-portadocumenti/products/Speedy-35-DAMIER-AZUR-N41535 

… la  segretaria rampantissima del megadirettore galattico del distretto in cui abitiamo, col quale il consorte intrattiene contatti di lavoro, ha soavemente chiesto se potevamo procurargliela, dato che i prezzi italiani sono più bassi rispetto quelli cinesi. E visto che c’era, ha fatto analoga richiesta ad altri “fortunati” in via di rientro, per cui se tutto va come deve, quattro modelli diversi Louis Vuitton prenderanno il volo per Shanghai a fine mese.

Promemoria: fatti due conti in tasca alla signora, valutare se non sia il caso di cambiare mestiere e riciclarmi come segretaria di direzione in Cina.

Confessione finale: troppo pigra per recarmi di persona nell’esclusivo negozio monomarca a me più vicino, ho contattato il servizio clienti LV. Un operatore gentilissimo, con perfetta pronuncia francese, ha preso nota del mio ordine, dopo avermi erudito sul retroterra culturale che ha dato vita alla borsa in oggetto (scacchiera con i colori del mare, Azur come Costa Azzurra –  tela cerata antigraffio, la compagna ideale delle tue vacanze…). Sono seguiti un po’ di click e l’oggetto dovrebbe arrivare comodo comodo a casa , in tempo utile per essere poi recapitato alla legittima proprietaria.

Per un momento ho respirato l’ineffabile aria del lusso, ho udito un simbolico tappeto rosso che veniva srotolato davanti ai miei piedi plebei, ho intravisto il luccicore abbagliante dell’inutile e del superfluo… e non è stato affatto male…

Lug 29, 2013 - Briciole    3 Comments

Di musica e conigli…

 

L’estate concilia le riflessioni oziose, le letture più o meno impegnate, i dibattiti roventi su esternazioni a effetto – o semplicemente superficiali… chissà. A partire da una diatriba – vera o costruita non so – mi sono lasciata avvolgere dal filo dei pensieri…

Mi è arrivata l’eco lontana delle ultime frasi di Giovanni Allevi, completate dalle sue rettifiche seguite alle raffiche di insulti più o meno velati che si è beccato… il fatto è che su Fb ricevo le notifiche del suddetto, in quanto ho cliccato il pollice su… mi piace ascoltare la sua musica. Lo ammetto. L’ho scoperto qualche estate fa, ascoltando gli studenti del corso musicale della mia scuola, e mi è piaciuto molto; e sono così musicalmente ignorante da non cogliere immediatamente i vili plagi che gli attribuiscono. Mea culpa.

Se dovessi scegliere, lo ammetto, preferirei assistere ad un concerto di Michael Nyman, o di Ludovico Einaudi, però non mi faccio venire una sincope e anche il Giovanni lo ascolto volentieri.

Ora, pare che tutti gli improperi di cui che  è stato il bersaglio, siano frutto di una estrapolazione da un discorso più ampio e che, insomma, tutti si sia partiti lancia in resta contro un mostro che nemmeno esisterebbe. Che inciviltà, mi sono detta!

Poi, ieri, durante un momento di cazzeggio compulsivo via Internet mi sono imbattuta in una frase di Beatrix Potter, con tanto di sua foto con coniglietto al guinzaglio; la frase dice, pressappoco, che ringraziando gli dei non è mai stata a scuola, altrimenti tutta la sua originalità le sarebbe stata strappata via.

E –  si intende – tanti saluti a Peter Coniglio. Beatrix Potter.jpg

Sarà il caldo, sarà l’acidità sempre in agguato, sarà stato un frullo improvviso di pelotas, mi è scattato il commento perfido: la signora, comunque, si è schivata anche la miniera (che toccava a suoi coetanei altrettanto sfuggiti alle grinfie della scuola) che avrebbe avuto gli stessi risultati perniciosi… con tanti saluti a Peter Coniglio.

Rimuginando tra me  e me, poi, mi sono resa conto che sono scattata per niente; innanzitutto chissà questa frase – che io ho interpretato come snob e insopportabilmente aristocratica- in quale contesto è stata pronunciata; in secondo luogo, mi sono resa conto che non sapevo granchè della sua vita e leggendo un po’, ho scoperto che era tutt’altro che snob e aristocratica; infine, come mi ha fatto ricordare il commento di un’amica, la signora in questione è l’autrice del coniglio che mi ha fatto sognare da bambina, e le cui storie ho letto e leggo ai miei figli.

Questo ultimo fatto resta; io non smetto di trovarlo bellissimo e non mi è passata la voglia di comprare i suoi libri.

Come non ho smesso di ascoltare Battiato dopo le sue ultime infelici esternazioni; o Branduardi, dopo avere scoperto che ha un carattere acidulo e insofferente… E dunque mi è venuto, una volta di più, il dubbio che certi autori vadano solo letti, ascoltati, ammirati attraverso le loro opere.

Non è detto che, umanamente, non siano immuni da banalità, volgarità o piccinerie – vere o presunte, contestualizzate o estrapolate – Quello che creano parla per loro… e resta. Punto.

Lug 6, 2013 - Briciole    7 Comments

Rimembranze e perplessità

 

Passeggiando sotto i portici del mio paese, mi è caduto l’occhio su una vetrina e, come spesso accade, a tradimento, sono stata assalita dai ricordi.

A scatenare l’onda della memoria, un paio di comunissime ciabatte di plastica, che però racchiudono un mondo. E me ne hanno spalancato un altro. Non è facile, lo so, seguire le mie associazioni di pensiero, ma cercherò di spiegare.

Dunque, partiamo dal ricordo: la tenuta estiva di mio nonno. Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine su questo personaggio: l’ho sempre sentito definire un originale, che poteva, di volta in volta, stare a significare solitario, scontroso, indipendente, egoista, un tantinello stronzo, diciamolo pure… una razza, insomma, che mio padre ha con sua grande gioia interrotto, generando due femmine (e deve essere per quello che ha celebrato tanto gaudio, omaggiandoci di nomi di imperatrici e zarine).

Tenuta estiva, dicevo; come ho velocemente scritto anche su FB, canottiera beige o bianca a costine, su cui portava una camicia a manica corta, quadrettata; bermuda nocciola con cintura di corda; calzino bianco e loro: le ciabatte di plastica traforata. In questa tenuta ho l’immagine di mio nonno che, diritto e marziale, in silenzio, cammina veloce lungo la spiaggia di Cesenatico: avrebbe dovuto essere una passeggiata, ma la sua energia me la rese un arrancare, oscillando tra  l’ammirazione per la sua tempra e la vergogna per il mio poco fiato… Un bel ricordo, perché in fondo è lui, come era e come è stato fino all’ultimo: acciaio e azzurro; carattere chiuso, di poche parole, con una vita di viaggi e lavori durissimi lontani dall’Italia, che distillava in rari e scarni  racconti…

Le ciabatte in questione non le portava solo mio nonno; erano le ciabatte “dei vecchi”, quando io ero bambina. E adesso fanno mostra di sé nei negozi a la page del villaggio, a prezzi francamente imbarazzanti per un paio di etti di plastica… sono moderne. Di più: sono cool! Di tendenza!index.jpg

C’è un terzo passaggio: dopo il ricordo; dopo essermi resa conto che un oggetto alla moda mi fa inorridire- e mai ci spenderei un centesimo –  c’è un dejavù. Anche questo legato ad un mio avo: la nonna materna, nella fattispecie.

Quando negli anni Ottanta nacque la moda delle camicie portate fuori dai pantaloni, ebbi discussioni animate con mia nonna, cresciuta in un’epoca in cui la camicia fuori  non si sarebbe mai e poi mai portata da parte di una persona perbene… poveracci e poco di buono non rispettavano le regole del vestire… e lei vedeva le sue nipoti allegramente “in pataja” (pressochè intraducibile, ma che significa, nel nostro dialetto, mezzo svestito).

In pratica, per chiudere il discorso, mi ritrovo nella stessa posizione di mia nonna, che inorridiva di fronte ai barbari usi della gioventù, giudicandoli in base alla sua formazione ed esperienza – ormai superata dalla modernità! Non riusciva a trovare bello ciò che per noi lo era. Guardo le ciabatte galeotte della rimembranza… d’accordo, è ufficiale: ho fatto il giro di boa. Sono  vecchia. Di testa. Però voi, care mie, siete proprio brutte! 🙂

Giu 24, 2013 - Briciole    2 Comments

Libere associazioni di pensiero…

“Dopo l’ennesima rissa televisiva in un talk show alcuni giorni fa, è in corso una riflessione sul dilagare della volgarità sui media e social nw… C’è però chi dice che il numero delle parolacce continua ad essere irrilevante in proporzione alle altre, solo che queste attraggono l’attenzione. Voi che dite? avete la percezione che la volgarità sia in aumento o no?”…

Ascoltavo la radio, oggi, con la testa (quasi) vuota e in vacanza… tanto cielo azzurro, tanti gabbiani da seguire in volo, e rondini… devo fare il pieno perchè ero veramente in astinenza…

Comunque… Ho sentito questa domanda lanciata dallo speaker di Virgin Radio, e mi è venuto in mente un pezzo del libro che sto leggendo in questi giorni: I Miserabili di Victor Hugo.

E’ uno di quei grandi classici che ancora mancavano alla mia lista e, dopo avere visto l’ultimo film colossale, ho deciso che era ora di riempire la lacuna.

E’ un libro immenso; un vero capolavoro che mi ha conquistato fin dalle prime righe… certo impegnativo, densissimo di descrizioni, introspezioni, digressioni… ma come sempre è impressionante leggere in parole scritte quasi duecento anni fa pensieri che centrano in modo permanente sentimenti, piccolezze o grandiosità ancora vive oggi.

E c’è una parte che veramente mi ha fatto sorridere, e mi ha lasciato ammirata, sulle parolacce… e su come si possa grandiosamente passare alla storia grazie ad una sola, ben assestata – e spiegata – volgarità.

Quando quella legione non fu più che un manipolo, quando la loro bandiera non fu più che un brandello, quando i loro fucili senza munizioni non furono più che bastoni e il mucchio dei morti fu più grande del gruppo dei vivi, vi fu fra i vincitori una specie di terrore sacro, intorno a quei sublimi moribondi, e l’artiglieria inglese, riprendendo fiato, tacque. Fu una specie di tregua.[…] Quei combattenti avevano intorno ad essi come un formicolio di spettri, profili d’uomini a cavallo, nere sagome di cannoni, mentre attraverso le ruote e gli affusti scorgevano
il cielo ormai sereno;[…] Poterono sentire nell’ombra crepuscolare che venivan caricati i cannoni, mentre le micce accese, simili ad occhi di tigre nell’oscurità, formavano un cerchio intorno alle loro teste e tutti i cannonieri delle batterie inglesi s’avvicinavano ai cannoni; ed allora, commosso, tenendo sospeso su quegli uomini il minuto supremo, un generale inglese, Colville secondo alcuni, Maitland secondo altri, gridò loro: «Arrendetevi, valorosi francesi!» Cambronne rispose: «Merda!» […]

Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone messo in rotta, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque è disperato, non è Blücher che non ha affatto combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una parola simile il nemico che v’uccide, significa vincere.
[…] La parola di Cambronne fa l’effetto d’una frattura: la frattura d’un petto per lo sdegno, il soverchio dell’agonia che esplode.Chi ha vinto? Wellington? No, perché senza Blücher era perduto. Blücher non avrebbe potuto finire. E quel Cambronne, quel viandante dell’ora estrema, quel soldato ignorato, quell’infinitamente piccolo della guerra sente che lì v’è una menzogna e, straziante aggiunta, una menzogna in una catastrofe; nel momento in cui esplode di rabbia, gli offrono quella derisione che è la vita! Come fare a non scattare? […]

[…] ora resta soltanto Cambronne; rimane solo, a protestare, quel verme. E protesterà. Cerca allora una parola, come si cerca una spada, gli viene la bava alla bocca e quella bava è la parola. Al cospetto di quella vittoria prodigiosa e mediocre, davanti a quella vittoria senza vittoriosi, quel disperato si erge ritto; ne subisce l’enormità, ma ne constata la nullità; fa più che sputarle addosso e, sotto l’oppressura del numero, della forza e della materia, trova un’espressione all’animo: l’escremento.” (VICTOR HUGO,  I Miserabili, ed. elettronica Liber LIber, pagg. 558-559).



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