Ripensandoci...

Rimembranze e perplessità

 

Passeggiando sotto i portici del mio paese, mi è caduto l’occhio su una vetrina e, come spesso accade, a tradimento, sono stata assalita dai ricordi.

A scatenare l’onda della memoria, un paio di comunissime ciabatte di plastica, che però racchiudono un mondo. E me ne hanno spalancato un altro. Non è facile, lo so, seguire le mie associazioni di pensiero, ma cercherò di spiegare.

Dunque, partiamo dal ricordo: la tenuta estiva di mio nonno. Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine su questo personaggio: l’ho sempre sentito definire un originale, che poteva, di volta in volta, stare a significare solitario, scontroso, indipendente, egoista, un tantinello stronzo, diciamolo pure… una razza, insomma, che mio padre ha con sua grande gioia interrotto, generando due femmine (e deve essere per quello che ha celebrato tanto gaudio, omaggiandoci di nomi di imperatrici e zarine).

Tenuta estiva, dicevo; come ho velocemente scritto anche su FB, canottiera beige o bianca a costine, su cui portava una camicia a manica corta, quadrettata; bermuda nocciola con cintura di corda; calzino bianco e loro: le ciabatte di plastica traforata. In questa tenuta ho l’immagine di mio nonno che, diritto e marziale, in silenzio, cammina veloce lungo la spiaggia di Cesenatico: avrebbe dovuto essere una passeggiata, ma la sua energia me la rese un arrancare, oscillando tra  l’ammirazione per la sua tempra e la vergogna per il mio poco fiato… Un bel ricordo, perché in fondo è lui, come era e come è stato fino all’ultimo: acciaio e azzurro; carattere chiuso, di poche parole, con una vita di viaggi e lavori durissimi lontani dall’Italia, che distillava in rari e scarni  racconti…

Le ciabatte in questione non le portava solo mio nonno; erano le ciabatte “dei vecchi”, quando io ero bambina. E adesso fanno mostra di sé nei negozi a la page del villaggio, a prezzi francamente imbarazzanti per un paio di etti di plastica… sono moderne. Di più: sono cool! Di tendenza!

C’è un terzo passaggio: dopo il ricordo; dopo essermi resa conto che un oggetto alla moda mi fa inorridire- e mai ci spenderei un centesimo –  c’è un dejavù. Anche questo legato ad un mio avo: la nonna materna, nella fattispecie.

Quando negli anni Ottanta nacque la moda delle camicie portate fuori dai pantaloni, ebbi discussioni animate con mia nonna, cresciuta in un’epoca in cui la camicia fuori  non si sarebbe mai e poi mai portata da parte di una persona perbene… poveracci e poco di buono non rispettavano le regole del vestire… e lei vedeva le sue nipoti allegramente “in pataja” (pressochè intraducibile, ma che significa, nel nostro dialetto, mezzo svestito).

In pratica, per chiudere il discorso, mi ritrovo nella stessa posizione di mia nonna, che inorridiva di fronte ai barbari usi della gioventù, giudicandoli in base alla sua formazione ed esperienza – ormai superata dalla modernità! Non riusciva a trovare bello ciò che per noi lo era. Guardo le ciabatte galeotte della rimembranza… d’accordo, è ufficiale: ho fatto il giro di boa. Sono  vecchia. Di testa. Però voi, care mie, siete proprio brutte! 🙂

Rimembranze e perplessitàultima modifica: 2013-07-06T23:54:58+02:00da
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