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Mar 14, 2010 - Sogni e nostalgie    5 Comments

Tutto torna…

Tutto torna, alla fine; il tempo passa e, a sorpresa, regala conferme; a volte smentite, ma quelle si fa più fatica a digerirle.

Vedo ore di chiacchiere interminabili; gli alberi nuovi del verde appena sbocciato; le ombre tremolanti, una finestra aperta; scaffali metallici colmi di libri e una stanza vuota, per due sole persone. Inizio e conclusione. Dei tanti discorsi fatti ho memoria vivissima di uno, in particolare; il cinismo delle tue parole lasciava intendere una conoscenza delle cose che, solo a pelle, capivo posticcia, non ancora alimentata dall’esperienza. Forse paura, o un embrione di corazza contro le prime delusioni.

La mia saggezza, altrettanto posticcia, era solo istinto, intuito, non ancora trasformati dall’esperienza: non si può pensare alla fine quando si incontra qualcuno, lo si conosce, si desidera conoscerlo; non si può restare soli, sempre. Arriva un momento in cui costruire è un imperativo viscerale, ne va della sopravvivenza.

Arriva un momento in cui il bisogno di abbracciare qualcuno, significa tenere insieme se stessi e la propria vita.

E alla fine tutto torna; la scena cambia, non ci sono più foglie primaverili, ma questa neve insistente; non ci sono più chiacchiere, ma solo il silenzio umido e avvolgente… e va bene così: per quanto si tenti di sfuggire, o di negare, tutto torna…

Mar 8, 2010 - Sogni e nostalgie    4 Comments

8 Marzo – Foto ricordo

Nel 1945, quando rimane vedova, Maria ha trentadue anni; trentadue anni, una bambina di tre e un cognato da accudire, ritornato dall’Africa in pieno esaurimento nervoso – nessuno saprà mai che cosa vide esattamente quando la sua colonna fu attaccata, il risultato è un uomo fragile, nervoso, preda di sbalzi violentissimi d’umore.

Maria si rimbocca le maniche, si prende cura di tutta quella sua strampalata famiglia, lavorando nella fabbrica di esplosivi, arrotondando d’estate con la raccolta della frutta per la quale la sua città è famosa.

E’ abituata a lavorare fin da bambina, prima in campagna, dai suoi genitori, poi in città, a Bologna, dove va “a servizio” a tredici anni: un po’ cameriera, un po’ chaperon, un po’ governante… Lavora senza orario e le restano pochi soldi, perché buona parte della paga viene spedita direttamente alla madre, secondo gli accordi presi al momento dell’assunzione.

Non si sta male, in fondo: resta qualche ritaglio di tempo per passeggiare sotto i portici, così lunghi e freschi nel calore dell’estate; per attraversare Piazza Grande con San Petronio, i piccioni e i caffè pieni di signore eleganti…

No, non si sta male; è vero, la signora ha le sue “fisse”: ad esempio non vuole, assolutamente non vuole, quando ci sono ospiti a cena, che si riordini la cucina e si lavino piatti e pentole man mano; bisogna fare tutto alla fine. Ma è l’unica mania, e facilmente eludibile; Maria e la cuoca, veloci, tra una portata e l’altra, lavano i piatti, poi li impilano sul grande tavolo centrale – come se fossero appena stati portati via dalla sala da pranzo e appoggiati lì – lasciandone sopra uno sporco. Se la signora viene a controllare – e la signora lo fa – vede solo pile in attesa di essere lavate e se ne va contenta, mentre Maria e la cuoca potranno andare a letto un po’ prima, che tanto il mattino dopo si ricomincia all’alba.

Passano alcuni anni e le cose iniziano a cambiare, Maria se ne accorge da alcuni particolari; ad esempio la lavandaia inizia ad andarsene a mani vuote, perché la signora non le dà più niente da lavare e, per risparmiare, il bucato e lo stiro si iniziano a fare in casa; piano piano, si iniziano a pagare i fornitori con oggetti, mobili… E’ la grande crisi; il lavoro manca per tutti; Maria ritorna al suo paese, quello stesso paese che, adesso, continua a parlare della famiglia anomala che si ritrova sulle spalle.

Eppure lei tenta di scomparire in tutti i modi: i capelli neri, lunghi, folti, sono sempre rigorosamente raccolti; i vestiti scuri, informi, anonimi, anche perché i soldi sono veramente pochi; però non veste mai di nero, e sempre, anche più avanti negli anni le rimarrà questa ripulsa per il colore del lutto, della morte…

I soldi sono pochi ma Maria non ritarda mai una rata dell’affitto: abitando nelle soffitte di un palazzo della Curia, versa ogni mese i soldi al Parroco del paese. E’ orgogliosa, non chiede nulla, non si lamenta – chissà, forse col suo fare schivo e sbrigativo non sembra avere bisogno di aiuto – e i preti non le chiederanno mai nulla, abituati alla sua puntualità, senza pensare alla fatica che le costa. Questo Maria non glielo ha mai perdonato: di non avere mai neanche provato a tenderle una mano – forse avrebbe rifiutato, offesa, ma “loro” avevano l’obbligo di tentare; nel chiuso della sua dignità, salvo occasioni irrinunciabili, prenderà l’abitudine di andare in Chiesa “fuori orario”, a pregare quando non ci sono funzioni.

Il suo essere così schiva, al limite della scontrosità, è il tentativo di non fare parlare di sé, anche se sente brusii malevoli che la sfiorano, che tentano di appiccicarlesi addosso; col suo guardare sempre a terra ha notato ugualmente un paio di occhi che la osservano con maggiore insistenza; ha capito che basterebbe un suo gesto e gli sguardi potrebbero farsi più vicini. Così lei usa l’unico riparo che conosce: sua figlia. Dovunque vada, al cimitero, al mercato, a fare la spesa… porta con sé la bambina e questo basta perché a poco a poco si dimentichino di lei. Il paese, i parenti, le regalano un nuovo soprannome – che non la lascerà più – “la putta”, che sta per ragazza non sposata: per una vedova è un lasciapassare, è l’integrità riconquistata e pubblicamente riconosciuta.

Chissà se è diventato anche una sorta di sigillo definitivo sul suo cuore…? Possibile che tutto quel blu, quel rigore, quell’isolamento non le pesino?

Eppure ci devono essere momenti, magari fugaci, in cui la sua stessa giovinezza tenta di irrompere oltre le grate della vita. Momenti in cui vorrebbe dimenticarsi delle responsabilità, rimanere sola… chissà. Poi si riscuote, allontana la rabbia che le ha velato lo sguardo e riprende il cammino.

E’ un attimo, eppure deve essere accaduto, e solo in vecchiaia, in un raro momento di confidenza, di racconto, lascerà intendere che, forse, in fondo, tante cose non le ha fatte per la semplice paura delle chiacchiere della gente, senza rendersi conto che le malelingue non tacciono mai.

“Se ti vestivi con cura, ti pettinavi e ti tenevi in ordine, subito qualcuno pensava che cosa mai tu stessi cercando. Ma se, viceversa, non badavi al vestire e a come apparivi, allora ti criticavano per la tua trascuratezza (I given che t’er una zaclouna)”.

Così gli anni passano, e Maria, lavorando e faticando riesce a far crescere e studiare la figlia – che diventa maestra – riesce a dare un po’ di stabilità al cognato, che è uscito dal suo esaurimento e ha ripreso a lavorare…

Gli anni passano e questa strampalata famiglia riesce persino a comperarsi una casa; undicimila lire per la casetta in sasso, nata come lavanderia della grande villa della signora Zoe. Una sola clausola: non tagliare il glicine che si arrampica sul muro che si affaccia sul giardino della padrona. Un giardinetto microscopico e ordinatissimo, in cui c’è una piccola fontana, le aiuole ordinate e bordate di mattoncini, e una meravigliosa rosa portata dal Cairo…

Ricordo bene quel giardino; e anche il glicine, che ormai, dopo la morte della famosa signora Zoe, è stato tagliato. Restano le aiuole, e il calicantus che ogni inverno fiorisce davanti ai vetri della casa di mia nonna. Maria.

(post pubblicato in un’altra blog-vita… 2005)

Gen 20, 2010 - Sogni e nostalgie    9 Comments

Alti e bassi

Inevitabile; ci sono giornate buone e giornate cattive… Mi preoccupa questa sottile malinconia che mi fa spesso inumidire gli occhi. Succede quando meno me lo aspetto e so cosa vuole dire… E mi arrabbio.

Non sopporto di sentirmi vulnerabile, incerta, stanca… Non sopporto questo senso di inadeguatezza… Eppure devo andare avanti, perchè nessuno nasce imparato, come si suol dire, e io sto imparando.

Raccolgo, raccolgo piccole perle, lo so, anche oggi è successo; però poi arrivano le batoste e fanno male.

La verità? Non mi piace come sto diventando: da un lato è una sorta di mutazione, di adattamento all’ambiente… Dall’altro sto perdendo qualcosa per strada… La famigerata via di mezzo, che sembra tanto riposante e sicura da percorrere… Il più è trovarla.

Ott 3, 2009 - Sogni e nostalgie    10 Comments

Parla con me

Alla fine si riduce a questo… O perlomeno è così per me. Ho fatto vari esperimenti, anche con il famoso Facebook, ma ho rinunciato; la sensazione era quella di trovarmi in un’immensa piazza, tra grida e confusione e nessuno… nesuno con cui parlare, appunto. Contatti, fantasmagoriche cifre di millantati amici, messaggi affastellati… No, meglio rifugiarsi qui, tra queste stanze. Non c’è niente da fare, fin dal primo post ho pensato al blog come ad una stanza e tale per me resta.

Mi siedo e leggo, proprio come faccio nella vita “vera” per staccare e riposarmi; mi siedo e scrivo, esattamente come quando, nella vita “vera”, ho bisogno o voglia di riordinare i pensieri. Con la differenza – e non da poco – che in questa stanza aspetto ospiti, aspetto le loro parole e i loro pensieri, e a mia volta ricambio le visite.

Certo i miei tempi sono un po’ capricciosi e incostanti… e mi rendo conto che questo forse può essere scambiato per disinteresse, dato che non credo di essere la sola ad attendere i commenti delle voci amiche…

Ultimamente mi sento stanca, in precario equilibrio, decisamente non sono corazzata e non riesco a separare lavoro e vita, per cui mi metto in continua discussione arrivando, in certi momenti, a dubitare delle mie capacità come persona, come genitore, come tutto… So che passerà, so che sto imparando, ma ragazzi, che fatica! Ci sono state sere, qui di recente, in cui ho dovuto letteralmente raccogliere i cocci di quel po’ di me che restava…

Così, apro il blog e vago silenziosa, senza scrivere, senza commentare… Osservo… Conto i link che sono ormai un nido vuoto… Apro blog che tacciono da mesi… e medito di lasciare perdere…

E poi capita di incontrare di nuovo qualcuno che si dava per disperso, capita che arrivi una mail a sorpresa, e penso che posso fare ancora un tentativo…

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