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Giu 9, 2012 - Sogni e nostalgie    2 Comments

Riepilogando…

Ogni tanto mi piace incolpare il mio segno zodiacale delle mie piccole manie e ambiguità. La verità, invece, è che sono abbastanza prevedibile e piana; anzi, paziente e schiva… Oggi mi vengono in mente questi due aggettivi.

Non sto ad elencare per quali giri di pensieri mi sia messa a fare la conta dei concerti cui ho assisitito. Diciamo che a Novembre verrà in zona in gruppo rock che mi piace molto e ascolto – i Muse – ma credo che non comprerò il biglietto: le difficoltà logistiche, i figli, ma soprattutto la paura di essere un pesce fuor d’acqua – e “datato” per di più… No, no, meglio l’intimità di casa, e magari qualche concerto più soft, magari in un teatro, senza file chilometriche ai concelli, senza caos e corse: decisamente più nelle mie corde.

Chi sono riuscita a vedere, dal vivo? Dunque: De Andrè – due volte! – Paolo Conte, Madredeus, Jordi Savall, Massive Attack – ragazzi, è stata anche la prima volta che mi sono fatta uno spinello, sempre che respirare la nuvola compatta che mi avvolgeva possa considerarsi valido! – Antony and the Johnson, Franco Battiato, Angelo Branduardi, Moni Ovadia… Non tanti, forse, ma tutti inseguiti con pazienza certosina. Ascoltati e seguiti da lontano, non mi azzarderei mai ad avvicinarmi per un autografo. Perchè? Per timidezza/terrore/vergogna… a scelta, e forse anche per l’inconffessabile paura di far scendere dal piedistallo un mito.

Cosa che mi è capitata, del tutto involontariamente, con Angelo Branduardi; una sera di ottobre, in Piazza Grande a Bologna… in cielo una stupenda luna piena che illuminava San Petronio in modo magico… due persone ferme a guardare la facciata della chiesa e passiamo noi, comitiva caciarona di ex compagni di scuola appena usciti dal ristorante: tacchi che battono sull’acciottolato, chiacchiere, risate, commenti idioti… insomma, chiaramente abbiamo spezzato l’incantesimo – Ma cos’è…? L’asilo infantile? – Sento una vocetta petulante e disgustata e mentre mi volto, riconosco il casco voluminoso dei capelli e la postura leggermente curva all’indietro del mio “idolo”… e mi viene il nervoso: perchè ha ragione – siamo rompiscatole -perchè è acido –  e l’ho sempre immaginato serafico ed etereo – perchè mi sento in colpa – sto facendo casino anche io… no, no meglio continuare ad ascoltare da lontano; magari inseguendo altri cantanti, altri compositori.

Dunque, chi c’è nella lista dei desideri? Modena City Ramblers, Giovanni Allevi, Ludovico Einaudi, Chango Spasiuk, Nick CAve… chissà…

Mag 19, 2012 - Sogni e nostalgie    2 Comments

Spolverando 2… Parole cestinate

Il dono

In un giorno qualunque, senza preavviso o intenzione, Ester e Carlo si incontrarono di nuovo.
Mentre Ester vagava tra le corsie dell’ampia libreria – dieci minuti rubati all’attesa del treno verso casa – Carlo emerse dalla porta scorrevole: per un momento il caos rumoroso della strada superò la vetrata, per poi ritrarsi. Ester si voltò, e se lo trovò davanti, a chiudere il passaggio sicuro verso l’uscita. Un attimo, poi il lampo di riconoscimento negli occhi di lui le impedirono di girarsi di scatto ed andarsene.
Era già successo, o meglio aveva già corso il rischio di incontri analoghi; quanti anni erano ormai passati dal periodo sognante e tormentato del loro amore? Ester non aveva voglia di contarli; ma le era già capitato di poterlo incrociare, salutare – impossibile evitarlo del tutto nella loro piccola cittadina – almeno nei periodi in cui Carlo rientrava dai suoi viaggi di lavoro e di studio… ma sempre Ester era riuscita  a nascondersi. A scappare. Per non ritrovarsi nuda e indifesa di fronte al suo sguardo – o forse a se stessa – travolta dai ricordi e dai rimpianti.
Un attimo e le mani si strinsero, le frasi di circostanza presero a scorrere, mentre nelle orecchie di Ester un rombo prepotente le ricordava i battiti impazziti del suo cuore.
Senza sapere come, si ritrovò seduta al tavolo di un caffè. Guardava Carlo rigirare pensoso tra le dita la tazzina ormai vuota, lo ascoltava raccontare del suo lavoro, della nuova ricerca… minuzie innocue, senza rischio di compromettersi, di scendere sul personale. Ma in realtà Ester non era sicura di seguire il filo dei pensieri, non riusciva a concentrarsi, perché altre parole stavano prendendo forma nella sua mente …
_  Non importa, amore mio, non importa – avrebbe voluto dirgli – se gli anni sono passati e hanno portato via la nostra bellezza… Immagino come possa irritarti la calvizie; ma non importa, perché tu sei ancora altero e diritto nel portamento fiero che mi conquistò allora. Il tuo passo ha ancora quella scioltezza elegante e pacata che riconoscevo ovunque, per quanta folla potesse esserci intorno a noi. L’ho visto mentre ti avvicinavi.
La stretta di mano salda; il tuo modo di parlare e raccontare le cose: questi anni ti hanno arricchito, perciò non importa se i tuoi begli occhi dorati mi scrutano dietro un paio di lenti; il tuo modo di strizzarli per la stanchezza è rimasto, l’ho notato in libreria, quando mi hai guardato prima ancora di riconoscermi.
I tuoi interessi, il tuo modo di raccontare sono sempre qui, ne sono sicura; puoi parlarmi ancora per ore e ore: di cinema., libri, filosofia, musica, di niente, se vuoi… Quanti argomenti riuscivamo a toccare in quei lontani pomeriggi, nelle ore troppo veloci a danzarsene via?
Non importa, amore mio, non importa se mi aspettano a casa, se sto perdendo il treno, se non ci parleremo mai più, non importa: questo è un momento solo per noi. Solo per me, forse. –

Lug 3, 2011 - Sogni e nostalgie    3 Comments

Spolverando… ovvero Parole dimenticate

 

Anna cammina veloce per strada, corre al lavoro; ma, per quanta fretta abbia, non le sfugge il sottile profumo che ha oggi l’aria… E’ ancora fredda, ma una nota morbida incrina il rigore della giornata, un sussurro sottile che lascia intuire, sperare, l’arrivo della primavera. Un’aria magica, non può fare a meno di pensare Anna, che ha la sensazione di qualcosa di speciale che l’attende. Che pensiero stupido… una normale giornata di lavoro, ecco cosa l’attende, poi Maurizio a casa, la cena… ha dimenticato di dirgli qualcosa, prima di uscire… ma cosa? Anna rallenta il passo; adesso sta costeggiando il grande parco della città: i raggi del sole, che passano indisturbati tra i rami ancora spogli, fanno sembrare piacevole fermarsi un poco a godere di quel timido tepore… Ma no, non c’è tempo… Però i pensieri non hanno regole, viaggiano indisturbati, verso Maurizio e, andando ancor più indietro, all’inizio del loro amore. Era iniziato con una fitta corrispondenza. Cartacea. Era un’inguaribile romantica , e una grafomane recidiva. Prendere carta e penna, sedere e scrivere, era un piacere, un modo per ritagliarsi spazio, un lusso che si regalava quanto più spesso poteva.

Scrivere a Maurizio era stato, di per sè, una dichiarazione d’amore: scegliere un foglio della sua più bella carta da lettere, color panna, porosa e spessa; svitare il tappo della stilografica e – trattenendo il respiro – impugnarla, per poi, dopo un momento di sospensione, appoggiarne la punta sulla superficie aperta, inesplorata del foglio… e lasciare che l’inchiostro, magicamente, catturasse pensieri ed emozioni legandoli con un filo nero sinuoso e tenace. A quella prima lettera ne erano seguite molte altre, in un balletto ininterrotto di attese e risposte; dopo ogni incontro, e anche quando andarono a vivere insieme, Maurizio e Anna continuarono a scriversi: biglietti sparsi per casa, ad attenderli sul tavolo o sul cuscino, prima di addormentarsi, lettere per accompagnare i regali o le loro ricorrenze speciali… Quando si decisero a comperare un telefono cellulare rimasero entrambi affascinati dalla possibilità di inviare messaggi: utili, cifrati, spiritosi o arrabbiati… tanti pensieri liberi di fluttuare immediatamente tra loro, ovunque si trovassero. Anna si rifiutava di cedere al linguaggio stringato e simbolico di questa nuova forma di comunicazione, tant’è che spesso non le bastavano quei miseri  centosessanta caratteri; di questa mancanza totale di sintesi spesso avevano riso insieme. Così come ridevano della mania di Anna per l’analisi, la discussione, la minuziosa dissezione di ogni problema, che nelle liti si trasformava in interminabili dibattiti; Maurizio, invece, in quattro concetti era capace di illuminare, o risolvere, una situazione, per poi buttarsela alle spalle.

Alla fine anche Anna aveva capitolato e aveva cominciato a sforbiciare con punti, abbreviazioni e numeri i suoi messaggi, che le apparivano sempre con l’aspetto malinconico di codice fiscale, o telegramma.

“Torno tardi nn asp. T.V.B.”

“1 bacio q.sera cinema?”

Adesso Anna ricorda cosa ha dimenticato di dire a Maurizio; è la loro ricorrenza speciale .E non gli ha fatto gli auguri. Del resto quello è un brutto periodo, sempre di corsa, entrambi presi dagli impegni del lavoro e dalle relative preoccupazioni. Anna ci pensa e non riesce a ricordare quando sia stata l’ultima volta in cui ha scritto due righe al marito. O che ne abbia ricevuto di sue. Prende automaticamente il telefono e inizia a digitare: “Devo dirti 1 cosa imp.issima : buon 7 t.v.b.”. Il dito di Anna si blocca, lo sguardo si fissa sul cursore lampeggiante e gli occhi cominciano a pungerle: ha dimenticato, per la prima volta in tanti anni, la loro giornata speciale e quelle striminzite parole sembrano, adesso, svelarle un vuoto e un silenzio che teme si siano aperti tra loro.

1 cosa – non una, che lascia il mistero dell’indefinito e della sorpresa. 1 lo pronunci  allo stesso modo,  ma è finito, limitato,  e io, amore mio, io ti vorrei dire tante cose dopo questa…

Importantissima: perché non la scrivo per intero questa parola? Ha un suo peso, un suo ritmo, scivola lenta se la penso, se tu la pensi, mentre la leggi. Imp.issima zoppica, inciampa contro quel punto che si è mangiato le lettere. E’ come un ponte interrotto e noi ci guardiamo dai due monconi opposti.

T.V.B. Cosa vuol dire? Tua vera burlona? Troppo vino bevuto? “Ti voglio bene” come recitano le mille scritte lasciate sulle panchine e sui muri dai ragazzi… Ma noi non siamo ragazzi, e io non ti voglio bene, io ti amo. E se ho paura di dirtelo, se dimentico di dirtelo? Se non ho nemmeno il coraggio di scrivertelo per intero? Cosa significa tutto questo?

Adesso Anna è entrata nel parco; si siede su una panchina, ancora col telefono in mano. E mentre sente l’impercettibile calore del sole, scuote via le lacrime dagli occhi – Stupida! – Se lo dice ad alta voce, ridacchiando e ignorando lo sguardo interrogativo di un passante, perché tutto è di una semplicità disarmante; trovata nella borsa carta e penna, si mette a scrivere…

 P.S. …”spolverando” tra vecchi file ho ritrovato questo,  l’avevo dimenticato; e avevo voglia di ridargli libertà. Buona domenica.

Dic 15, 2010 - Sogni e nostalgie    5 Comments

Galaverna

Di solito arriva più tardi, ma quest’anno il freddo, il freddo intenso è arrivato presto, così questo spettacolo magico – la galaverna – cristallizza alberi e cespugli… Tecnicamente non so bene dire se si tratti di nebbia ghiacciata, piuttosto che di brina, e forse nemmeno mi importa… Quello che mi rapisce davvero è l’atmosfera sospesa che queste giornate sanno regalare; nel grigio che nessun raggio di sole riesce a forare, il bianco perlaceo dei ricami di ghiaccio rischiara lo sguardo. Tutto è fermo, immobile e pietrificato… La bellezza della nudità, dell’essenzialità… La bellezza speciale e unica di un fenomeno legato al posto in cui sono nata e cresciuta…Albero con brina.JPG

E’ vero… il biancore delle case che ho visto in Grecia; il sole secco e abbacinante sulle colline gialle di stoppie, il mare ancora più azzurro contro tutto quel lucore… mi attirano e mi fanno pensare che lì potrei essere a casa…

Oppure le vie di Vienna, in cui mi sono sentita piccola, provinciale e smarrita, sotto l’enormità dei palazzi di fine Ottocento… eppure stranamente a mio agio, come se le pagine di tanta letteratura, in fondo, mi avessero già mostrato un po’ di quel mondo e potesse esserci anche lì un angolino in cui essere “a casa”…

La galaverna, che cade nel cuore dei mesi che più mi sono estranei –  i mesi freddi e torpidi, in cui vorrei solo poter imitare la lucertola che se ne va in letargo, per poi riemergere sotto i raggi del sole – proprio lei mi fa sentire “a casa”… mi regala la sensazione che anche nell’accerchiamento del gelo, si nasconde un cuore di luce, di perfezione… fuggevole, fragile, inimitabile…

Mag 9, 2010 - Sogni e nostalgie    5 Comments

Tempus fugit…

Quando dico fugit, intendo proprio scappare; nella fattispecie fuori dalla finestra. Qualche giorno fa ha rotto l’orologio. Caduto dalla finestra si è diviso esattamente in tre parti – vetro, cassa e chiusura posteriore – mentre il cinturino penzolava come un cretino dal gancio della finestra.

Sì, perchè molto saggiamente non me lo sono tolto per fare le pulizie; avevo fretta; sarei uscita dopo poco e poi, cosa vuoi che sia… Insomma l’orologio che mia nonna mi regalò per i miei vent’anni adesso è in riparazione. Niente di che, se non il senso di vuoto che mi accompagna. Si può?

Quando l’ho portato dall’orologiaio ho dovuto lasciarlo in fretta e furia; hanno scritto nome e cognome sui sacchetti che usano abitualmente per queste riparazioni, poi ho detto che sarei ripassata. Avevo il magone.

Ieri mi fermo, per avere notizie – anzi, speravo di portarmelo a casa – e… non l’hanno trovato!!!

– Ma signora, è sicura del nome? Del numero… (Giuro che non avevo neanche la forza di imprecare interiormente).

Si ricordavano tutto; le condizioni del pezzo, il prezzo della riparazione, che sarei ripassata, la mia faccia…

In tre ad aprire cassetti e lui non è saltato fuori!

– Ci scusi tanto, vedrà che lo troviamo. La chiamiamo quando è pronto…

Son corsa fuori dal negozio con le lacrime agli occhi. E’ solo un orologio; una cosa; ma è un pezzo di vita. Sulla cassa c’è l’incisione che mia nonna volle mettere “5 Giugno 1991 – Per i tuoi vent’anni …”.

Mi ricordo ancora quanto è costato; mi ricordo ancora che ho scelto quello che costava meno tra gli orologi che mi mostrarono –  e a lei, ovviamente, sembrò il più brutto – mi ricordo… Troppe cose mi ricordo… E mi torna il magone… Uff…

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