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Mar 8, 2019 - Senza categoria    1 Comment

8 Marzo – Foto ricordo

Nel 1945, quando rimane vedova, Maria ha trentadue anni; trentadue anni, una bambina di tre e un cognato da accudire, ritornato dall’Africa in pieno esaurimento nervoso – nessuno saprà mai che cosa vide esattamente quando la sua colonna fu attaccata, il risultato è un uomo fragile, nervoso, preda di sbalzi violentissimi d’umore.

Maria si rimbocca le maniche, si prende cura di tutta quella sua strampalata famiglia, lavorando nella fabbrica di esplosivi, arrotondando d’estate con la raccolta della frutta per la quale la sua città è famosa.

E’ abituata a lavorare fin da bambina, prima in campagna, dai suoi genitori, poi in città, a Bologna, dove va “a servizio” a tredici anni: un po’ cameriera, un po’ chaperon, un po’ governante… Lavora senza orario e le restano pochi soldi, perché buona parte della paga viene spedita direttamente alla madre, secondo gli accordi presi al momento dell’assunzione.

Non si sta male, in fondo: resta qualche ritaglio di tempo per passeggiare sotto i portici, così lunghi e freschi nel calore dell’estate; per attraversare Piazza Grande con San Petronio, i piccioni e i caffè pieni di signore eleganti…

No, non si sta male; è vero, la signora ha le sue “fisse”: ad esempio non vuole, assolutamente non vuole, quando ci sono ospiti a cena, che si riordini la cucina e si lavino piatti e pentole man mano; bisogna fare tutto alla fine. Ma è l’unica mania, e facilmente eludibile; Maria e la cuoca, veloci, tra una portata e l’altra, lavano i piatti, poi li impilano sul grande tavolo centrale – come se fossero appena stati portati via dalla sala da pranzo e appoggiati lì – lasciandone sopra uno sporco. Se la signora viene a controllare – e la signora lo fa – vede solo pile in attesa di essere lavate e se ne va contenta, mentre Maria e la cuoca potranno andare a letto un po’ prima, che tanto il mattino dopo si ricomincia all’alba.

Passano alcuni anni e le cose iniziano a cambiare, Maria se ne accorge da alcuni particolari; ad esempio la lavandaia inizia ad andarsene a mani vuote, perché la signora non le dà più niente da lavare e, per risparmiare, il bucato e lo stiro si iniziano a fare in casa; piano piano, si iniziano a pagare i fornitori con oggetti, mobili… E’ la grande crisi; il lavoro manca per tutti; Maria ritorna al suo paese, quello stesso paese che, adesso, continua a parlare della famiglia anomala che si ritrova sulle spalle.

Eppure lei tenta di scomparire in tutti i modi: i capelli neri, lunghi, folti, sono sempre rigorosamente raccolti; i vestiti scuri, informi, anonimi, anche perché i soldi sono veramente pochi; però non veste mai di nero, e sempre, anche più avanti negli anni le rimarrà questa ripulsa per il colore del lutto, della morte…

I soldi sono pochi ma Maria non ritarda mai una rata dell’affitto: abitando nelle soffitte di un palazzo della Curia, versa ogni mese i soldi al Parroco del paese. E’ orgogliosa, non chiede nulla, non si lamenta – chissà, forse col suo fare schivo e sbrigativo non sembra avere bisogno di aiuto – e i preti non le chiederanno mai nulla, abituati alla sua puntualità, senza pensare alla fatica che le costa. Questo Maria non glielo ha mai perdonato: di non avere mai neanche provato a tenderle una mano – forse avrebbe rifiutato, offesa, ma “loro” avevano l’obbligo di tentare; nel chiuso della sua dignità, salvo occasioni irrinunciabili, prenderà l’abitudine di andare in Chiesa “fuori orario”, a pregare quando non ci sono funzioni.

Il suo essere così schiva, al limite della scontrosità, è il tentativo di non fare parlare di sé, anche se sente brusii malevoli che la sfiorano, che tentano di appiccicarlesi addosso; col suo guardare sempre a terra ha notato ugualmente un paio di occhi che la osservano con maggiore insistenza; ha capito che basterebbe un suo gesto e gli sguardi potrebbero farsi più vicini. Così lei usa l’unico riparo che conosce: sua figlia. Dovunque vada, al cimitero, al mercato, a fare la spesa… porta con sé la bambina e questo basta perché a poco a poco si dimentichino di lei. Il paese, i parenti, le regalano un nuovo soprannome – che non la lascerà più – “la putta”, che sta per ragazza non sposata: per una vedova è un lasciapassare, è l’integrità riconquistata e pubblicamente riconosciuta.

Chissà se è diventato anche una sorta di sigillo definitivo sul suo cuore…? Possibile che tutto quel blu, quel rigore, quell’isolamento non le pesino?

Eppure ci devono essere momenti, magari fugaci, in cui la sua stessa giovinezza tenta di irrompere oltre le grate della vita. Momenti in cui vorrebbe dimenticarsi delle responsabilità, rimanere sola… chissà. Poi si riscuote, allontana la rabbia che le ha velato lo sguardo e riprende il cammino.

E’ un attimo, eppure deve essere accaduto, e solo in vecchiaia, in un raro momento di confidenza, di racconto, lascerà intendere che, forse, in fondo, tante cose non le ha fatte per la semplice paura delle chiacchiere della gente, senza rendersi conto che le malelingue non tacciono mai.

“Se ti vestivi con cura, ti pettinavi e ti tenevi in ordine, subito qualcuno pensava che cosa mai tu stessi cercando. Ma se, viceversa, non badavi al vestire e a come apparivi, allora ti criticavano per la tua trascuratezza (I given che t’er una zaclouna)”.

Così gli anni passano, e Maria, lavorando e faticando riesce a far crescere e studiare la figlia – che diventa maestra – riesce a dare un po’ di stabilità al cognato, che è uscito dal suo esaurimento e ha ripreso a lavorare…

Gli anni passano e questa strampalata famiglia riesce persino a comperarsi una casa; undicimila lire per la casetta in sasso, nata come lavanderia della grande villa della signora Zoe. Una sola clausola: non tagliare il glicine che si arrampica sul muro che si affaccia sul giardino della padrona. Un giardinetto microscopico e ordinatissimo, in cui c’è una piccola fontana, le aiuole ordinate e bordate di mattoncini, e una meravigliosa rosa portata dal Cairo…

Ricordo bene quel giardino; e anche il glicine, che ormai, dopo la morte della famosa signora Zoe, è stato tagliato. Restano le aiuole, e il calicantus che ogni inverno fiorisce davanti ai vetri della casa di mia nonna. Maria.

(post pubblicato in un’altra blog-vita… 2005)

Nov 7, 2013 - Senza categoria    4 Comments

Spolverando (parole dimenticate 3)

Preda e cacciatore

E pensare che il computer le era sempre sembrato un oggetto di cui diffidare: per la sua capacità di mangiarsi i capitoli della tesi quando meno te lo aspettavi, per quella efficienza che mai lei avrebbe avuto… Adesso, nonostante fosse incollata ad un video tutto il giorno, Carla era sempre felice di sentire lo sfrigolio del monitor all’avvio, il ronfare continuo della macchina al lavoro… e questo piacere acquistava sfumature diverse e private la sera, quando poteva ticchettare sui tasti per suo esclusivo divertimento.

Aveva scoperto l’immensa e variegata comunità virtuale, fatta di forum, di stanze, di chat e la sua vita si era popolata di numerose presenze virtuali l’unica cosa che proprio non le riusciva era scrivere un blog: racconti, poesie, sfoghi e il fedelissimo diario restavano solo e sempre su carta, accessibili a lei sola. Aprire la sua mente e il suo cuore erano un gesto, quasi rituale, che aveva compiuto poche volte, con pochissime persone; un regalo, un azzardo che si concedeva quando incontrava qualcuno da cui voleva veramente farsi conoscere. Chissà, forse era arrivato di nuovo il momento.

Carla, da qualche settimana, incontrava regolarmente un uomo… Beh, incontrare magari non è proprio il verbo esatto, visto che si sono erano conosciuti in chat, ma Carla non riesce a fare a meno di pensare che si fossero incontrate le loro anime. Lui non le aveva chiesto una fotografia, né una descrizione fisica, non sembrava interessato a queste cose; invece, l’aveva bombardata di domande sul suo lavoro, sugli interessi, la musica, i libri – i suoi amati libri. E dopo alcune “conoscenze” che chiedevano solo sesso virtuale non le era sembrato vero di potere parlare degli argomenti che più le stavano a cuore, o anche semplicemente di come avevano trascorso la giornata.

E oggi… oggi si incontreranno. Carla è emozionata, ovviamente; nevrastenica, quasi; la scelta dell’abito è un tormento. Nessuno che la soddisfi: troppo elegante, troppo sportivo, troppo smorto, troppo… Calma! Deve restare calma; deve fare buona impressione, in fondo non può mica nascondersi dietro la rosa rossa che lui – Dario – le ha chiesto di portare per farsi riconoscere! Però… banale questa scelta del fiore, non può fare a meno di avvertire una fitta di delusione. E’ stata una proposta di lui e Carla si consola pensando che, in fondo, qualunque segno sarebbe stato altrettanto insulso: una specie di etichetta per aiutare due goffi sconosciuti ad incontrarsi… Ma basta, adesso, divagare, deve sbrigarsi.

Anche Dario si sta preparando. Controlla nello specchio la sua immagine, ma non trema di emozione. La rosa è davanti a lui, ne è molto compiaciuto; la rosa rossa fa leva sul lato romantico delle donne, anche parlare, parlare, parlare, e accarezzarle con le parole…. Lo sa molto bene perché, ormai, ha perso il conto degli incontri che ha avuto in questo modo. Non c’è nessun tremito in lui perché questo è un momento delicato, non può distrarsi, non può sbagliare. In chat puoi svicolare all’improvviso, inventando uno squillo alla porta, o un telefono che suona, ma oggi si incontreranno di persona. Non ha chiesto la sua fotografia perché questo le tranquillizza, dà l’impressione che lui voglia davvero incontrare le loro anime, ma Dario ha messo a punto un rituale preciso, che gli consente, non visto, di spiare l’arrivo delle sue conquiste. Arrivano sempre sbandierando la loro rosa rossa, si offrono a lui nella loro incertezza e imbarazzo, e lui le scruta e valuta prima di farsi avanti. SE, si farà avanti.

Anche lei, adesso, sta controllando per l’ultima volta la sua immagine; lo specchio, ripetitivo, le rimanda uno sguardo tra lo spazientito e l’ironico: occhi neri, capelli neri lisci, 1,65 di altezza, 60kg… I numeri parlano e, nello stesso tempo, non dicono niente: tacciono dell’incarnato pallido ma luminoso, delle lentiggini che rendono ancora più giovane il suo viso, del sorriso caldo che è una delle sue più belle caratteristiche. Pazienza! Lui non ha chiesto e sarà tutta una sorpresa; in fondo, si dice Carla, nemmeno lei ha voluto indagare e non conosce nessun indizio. E’ ora di scoprire e di scoprirsi.

Arriva con largo anticipo e comincia il suo gioco; scruta il via vai degli avventori del bar: dalla sua posizione riesce a vedere sia la strada, sia i tavolini all’aperto: alcune coppie, una famiglia di turisti, un uomo brizzolato che fuma e tiene un giornale chiuso sul tavolino… Funziona sempre, pensa Dario: la rosa nascosta nel giornale gli permette di guardarsi intorno. Oggi c’è traffico, è l’ora dell’aperitivo, la giornata è tiepida. Diverse ragazze hanno girato l’angolo, ma nessuna con la rosa. C’è solo quella piccoletta, ferma sull’altro lato della strada, intenta a scrivere un messaggio sul cellulare: anonima, infagottata in una giacca nera e in un paio di blue jeans.

Carla ha notato che l’uomo brizzolato continua a guardare nella sua direzione, spia l’orologio, immobile come una sentinella. Ogni tanto estrae il cellulare per riempirsi il tempo e le mani; i suoi occhi l’hanno sfiorata con ostentata indifferenza. Lei ha notato uno strano gonfiore sotto il giornale. Si dice: cominciamo! Apre la borsetta, estrae la rosa e se l’appunta la bavero. Pi si incammina decisa verso i tavolini; l’aria tiepida sembra di fuoco sulle sue guance. Ed ecco, con sincronismo perfetto, dopo avere lanciato un’occhiata al bavero della sua giacca, lui si alza portando il cellulare all’orecchio: – Sì, non c’è problema, ti raggiungo subito – e libera il tavolino. Si incrociano, Carla prende posto in una sedia libera, riesce a sentire la scia di profumo misto a tabacco lasciata da lui.

Dario si allontana: anche questa volta ha funzionato. Dovrà cambiare nick; magari piattaforma e chat; mettersi di nuovo in ricerca. Questa volta non era di suo gradimento.

Lei ordina un bicchiere di vino bianco; guarda il cielo sfumarsi di rosa, guarda i piccioni sul campanile della chiesa. Sfila la rosa dal bavero: andrà a fare compagnia alle altre… Come diceva sua nonna ? Non c’è due senza tre… Già: non c’è rosa senza spine…

(Rileggendo questo racconto, che è rimasto chiuso in un file quasi otto anni, mi accorgo di quante cose siano cambiate nel mondo virtuale. Non ho aggiunto nulla, infatti non sono citati i social network. Non ho cambiato niente… perchè secondo me, l’essenziale, non è cambiato:-)

 

 

Set 4, 2013 - Senza categoria    4 Comments

Ready to go?

Che estate… mi sono dilettata in riflessioni oziose e semiserie, ma in realtà i mesi di Luglio e Agosto non sono stati per niente rilassanti. La prima estate da espatriati è trascorsa tra esami, richieste di rimborsi all’assicurazione sanitaria – già, tecnicamente sono una straniera in patria, il che vuol dire che è come nei film americani: hai bisogno di curarti? Cash, please – patemi da attesa, rimuginamenti vari e simpatico ricovero del figlio piccolo durante la settimana di Ferragosto…

So, let’s go… adesso le varie incognite hanno avuto un nome, una cura e timidamente sto preaprando le valigie, perchè intanto il rientro in Cina è slittato di un mese –  e dato che sono anche superstiziosa l’idea di trovarmi in volo l’11 di settembre mi dice un po’ male, ma pazienza.

Tutto questo scombinamento di piani ha avuto anche dei risvolti positvi: i pargoli hanno manifestato il desiderio deciso di raggiungere presto la loro scuola internazional giocherellona; io, a mia volta, ho capito quali sono le vere sfighe, categoria in cui, senza dirlo apertamente, avevo collocato l’espatrio. Il consorte non conta perchè per lui la Cina è il migliore dei mondi possibili. Restavamo noi da convincere; direi che, se ancora qualche riserva l’abbiamo, possiamo tranquillamente conviverci:-)

Dic 24, 2012 - Senza categoria    6 Comments

Auguri!

Sì, c’è un’aria strana, per casa… liste appese al frigorifero, lavatrice che va a ciclo continuo, carte da regalo sparse e gatta nevrastenica che ha subodorato le grandi manovre della partenza (ancora non lo sa, ma un piccolo trasloco dovrà affrontarlo anche lei, per quanto non così lontano…)

Però mi voglio fermare un momento e lasciare gli auguri di buon Natale agli amici di blog… e spero di non dmenticarne nessuno, nel caso abbiate pazienza:-)… dunque tanti auguri a Robi (Cipralex), Setteparole, Gas, Pulvigiu, Glauco, Wasteland… e a Maurizio (Nowhereman) e Giuliano (Gi.punto) che da un po’ tacciono, ma che spero ogni tanto passino di qua… come magari qualche nuovo lettore, chissà…


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Dic 14, 2012 - Senza categoria    5 Comments

Magari…

Magari, in casa, ci fosse il caos di quella bella e colorata immagine che ho pescato in rete. Dovrebbe esserci qualcosa del genere, visto che mancano pochi giorni alla partenza –  e che partenza!

Invece mi ritrovo a lottare contro il tempo, per inanellare visite mediche, certificati di matrimonio, disdette Telecom, nulla-osta scolastici… e le valigie languono vuote, in attesa del tour de force dell’ultimo minuto.

Sarà un Natale strano, una pausa prima del tuffo… ci sono voluti mesi per arrivare alla decisone di seguire il capo-famiglia nel paese della Grande Muraglia. E non avrei mai voluto trovarmi in questa posizione, in questa situazione… Mi auguro che, prima di tutto, sia davvero un’opportunità per i miei figli: una finestra che si apre, un periodo di grandi stimoli e arricchimento. E non, come qualcuno mi ha ventilato, un inutile e dannoso sconvolgimento nei loro ritmi (e non mi ci voleva altro per farmi precipitare ancor più nel panico e nei sensi di colpa).

Adesso è il momento peggiore: bisogna fare coraggio, mostrare entusiasmo e serenità, quando in realtà sono preoccupata e perplessa anche io… Combattuta. Incuriosita, anche: dopo anni in cui, con l’insegnamento, sono venuta a contatto con tantissime persone che hanno lasciato il loro paese, adesso mi ritrovo – fatte le debite distinzioni –  nella stessa situazione.

Per la prima volta in vita mia, poi, non dovrò lavorare… sì, lo so, che gran posteriore! Ma è come togliere la battaglia ad un soldato: cosa resta? Questo dovrò deciderlo io… magari imparerò davvero il cinese. Magari il mio inglese diventerà impeccabile. Magari avrò anche tempo per andare in palestra… Magari non vorrò più tornare a casa (come segretamente spera il consorte)… Magari è una bella parola…


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