Giu 10, 2011 - libri e fumetti    3 Comments

Sfogliando pagine…

Ho passato un paio di giorni meravigliosi, perchè giovedì è arrivato Denys, ed è ripartito ieri. Su di me ha un effetto magico; non ho mai avuto un senso di felicità come quello che ho stando con lui, è come avere luce e aria dopo essere stata chiusa in una stanza per tanto tempo. Ieri sono andata a volare con lui, e non so proprio se per me possa esserci felicità più grande che volare sopra Ngong con lui. […]

L’Africa deve essere vista dall’alto, questo è certo; di lassù vedi veramente le distese enormi e i giochi di luci e ombre.” Karen Blixen, Lettere dall’Africa, Adelphi pag. 383 (Lettera del 21 Settembre 1930)

Quello che secondo me inebria veramente non è nè la velocità nè quello che vedi, ma muoverti in tre dimensioni. Già il fatto di muoverti in due dimensioni, quando cavalchi per la campagna o vai in macchina sulle pianure di qui, evitando comunque la stretta via, la linea, ha un incanto tutto suo, e quello che secondo la mia esperienza si avvicina di più al volo è sciare, dove ti muovi anche nella terza dimensione. Ma sciando faccio fatica a risalire, e quando scendo mi preoccupo; qui invece punti il naso in alto e sali turbinandno in alto con la stessa facilità di quando voli dritto. Il basso e l’alto in realtà non esistono più[…] E’ il gioco più divino che ci si possa immaginare; non puoi fare a meno di ridere quando scendi in picchiata e voli bassissima sulle pianure, inseguendo un branco di zebre lanciate al galoppo, e vedi la tua ombra su di loro e sull’erba, nell’aria limpidissima […]

E poi volare si addice molto a Denys. Mi è sempre sembrato che avesse in sè qualcosa della natura dell’aria ( un ottimista caldo e umido, o com’è?), e che fosse una sorta di Ariel. Ma chi partecipa di questa natura è anche un po’ senza cuore…” Karen Blixen, Lettere dall’Africa, Adelphi pag. 384 (Lettera del 12 Ottobre 1930)

Così, scelte a caso, da un libro – brano di una vita, in relatà – che davvero non mi stanco di sfogliare…

Mag 18, 2011 - Briciole    8 Comments

Scuola, auto, scuola…

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…e papaveri. Questo è il periodo che preferisco in assoluto; dopo le brume e le galaverne invernali, se c’è qualcosa che mi emoziona sono proprio queste giornate tra Maggio e Giugno.

Il sole comincia a scaldare, ad assumere quella pienezza che già preannuncia l’estate, ma ancora non estenua con afe opprimenti. Il cielo azzurro conserva una tinta smaltata, nitida e traslucida, mossa a volte da sbuffi di nuvole paffute, gonfie di bianco, e d’argento, ma pronte a galoppare via, senza lacrime…

Il verde è carico, opulento quasi, c’è una corposità nei fili d’erba, nelle foglie, che tra qualche settimana evaporerà nella calura più intensa e soffocante di queste zone di bassa pianura. I pioppi, le querce, le acacie si muovono nel vento leggero e le foglie mandano lampi screziati in diverse sfumature. E poi ci sono loro, a bordo strada, i miei fiori preferiti: i papaveri che spuntano a mazzi, a gruppetti leggeri e fruscianti. Non si possono raccogliere, appena li stringi tra le mani avvizziscono in mille pieghettature. Troppo triste spettacolo; preferisco il loro occhieggiare dal finestrino, mentre il nastro scuro della strada scivola sotto di me e ad ogni curva mi regala nuovi scorci. La stessa strada, fatta mille volte, per la scuola, i corsi di aggiornamento, le visite mediche, il vecchio lavoro amato e abbandonato… Un pezzo di vita, ma questo è un altro sentiero.

La strada corre, e con lei i pensieri; oggi sono lieti – a scuola, come una grande famiglia, aspettiamo la notizia della nascita di un piccolo uomo, figlio di un collega – rilassati – le prove Invalsi sono quasi archiviate, con le polemiche, le tensioni, i malumori che hanno portato – soddisfatti – parola grossa, ma ogni tanto capita di sentirsi soddisfatti per il lavoro svolto. Ed è una sensazione che ripaga delle tante giornate cattive, sconsolate o depresse che ci sono state e ci saranno di nuovo. Ma oggi ci sono i papaveri, e anche questo aiuta.

Apr 21, 2011 - Gea and family    4 Comments

Pensieri random (o dichiarazione d’amore)

Digerire. Digerire anche le parole; non c’è un altro termine che mi sembri più adatto. Soprattutto certe parole non le assimilo con le orecchie e il cervello, ma con lo stomaco e le viscere. Qualcuno direbbe che sia il difetto di noi donne… chissà. Eppure  – soprattutto quando c’entrano i nostri amori  – è così, non ci si può fare niente.

Mi vengono sempre in mente le parole che ho letto nel romanzo di Elsa Morante “La Storia”, quando descrive il dolore di Ida nell’apprendere la morte del figlio Nino “…la sensazione immediata… fu una feroce lacerazione… come se di nuovo lo strappasero di là…”. Grandiose parole, intrise di carne, scritte da una straordinaria scrittrice cui non fu mai dato di diventare madre.

Ma non voglio parlare di figli, o non solo. Anche di quanto possano farci arrabbiare le persone cui vogliamo bene; è qualcosa che mi ha sempre stupito, al punto che continuo a pensare che se non si arriva ad una lite, mai… be’, allora non teniamo abbastanza ad una persona. Si può davvero lasciare correre, quando si ha a che fare con chi amiamo – amicizia, affetto, amore, varie forme…? No, credo di no; l’indifferenza è anestetizzante e, dopo un po’, stomaca. Eccolo là, di nuovo quest’organo vile, eppure così cruciale.

Quand’è che l’amore è davvero divenuto tale? Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, direbbe Dante. Io ti direi: un pomeriggio domenicale di Maggio, il pomeriggio della nostra prima lite. Esiste un ramo della storia che studia le guerre, si chiama polemologia; sarebbe interessante percorrere le nostre piccole storie – individuali, di famiglia, di coppia – seguendo il cammino turbolento delle liti… Come nascono? Come evolvono? E, sopratutto, come si concludono?

Non sono pensieri oziosi, solo un po’ intricati da dipanare, ma dentro c’è anche una scoperta nuova; qualcosa che non avevo mai visto, eppure naturale conseguenza di tutto ciò. Quello che mi fa arrabbiare, è nello stesso tempo ciò che amo; o meglio, oggi sono felice della testardaggine, dell’impulsività, del senso di possesso, della sicurezza con la quale vorresti liquidare scomode intromissioni… le liti non sono finite, ma so di poterle digerire…


Mar 27, 2011 - Senza categoria    5 Comments

Bella domanda…

Perchè mangiamo gli animali? Bella domanda. Ho letto da poco un libro che tratta questo argomento, ma inizia con una parte – bellissima – sulla nonna dell’autore, sulla sua fissazione per il cibo – che fosse abbastanza, abbastanza nutriente, abbondante, ripetutamente ingurgitato – la preoccupazione che i nipoti non perdessero peso, ma lo acquistassero… Leggendo si capisce anche il motivo di questa perenne preoccupazione. Mi ha colpito e commosso ritrovare i pensieri e le “fisse”di mia nonna, donna della stessa generazione, passata attraverso la seconda guerra mondiale: altra nazionalità, altra religione – mia nonna non ha dovuto fuggire dalla sua terra perchè ebrea, ma sofferenze simili

“… perchè non le dicevamo nulla quando ci raccontava che il cibo scuro è intrinsecamente più buono del cibo chiaro o che la maggior parte delle sostanze nutritive si trova nella pelle o nella crosta? … Lei ci insegnava che gli animali più grandi di noi ci facevano molto bene, gli animali più piccoli di noi ci facevano bene, i pesci (che non sono animali) erano accettabili, poi veniva il tonno (che non è un pesce), quindi la verdura, la frutta, le torte, i biscotti e le bibite. Non esistono cibi che fanno male. I grassi sono sani: tutti i grassi, sempre, in qualsiasi quantità. Gli zuccheri sono sanissimi. Più un bambino è grasso, più è sano, sopratutto se è un maschio. Il pranzo non è un pasto, sono tre pasti, da consumarsi alle undici, a mezzogiorno, alle tre. Stiamo sempre morendo di fame” Jonathan Safran Foer, Se niente importa, Guanda edizioni 2010 – pag. 12

Mi sono venute in mente le colazioni della domenica, quando io e mia sorella dormivamo da mia nonna, e lei ci preparava biscotti e cioccolato in tazza: biscotti gialli di uova e cioccolato in cui aveva stemperato un uovo e una noce di burro “Così c’è della sostanza”… e a Messa, alle dieci del mattino mi si chiudevano gli occhi per il sonno! Dovevamo crescere e “fare le gambe grosse” e in questo ci avrebbero aiutato grassi brodi di gallina, enormi bistecche e pane… tanto pane “che non si mangia di sgabezzo” (cioè non si può mangiare qualcosa senza accompagnarlo, appunto, col pane)… Ora, il libro in questione parla di altro, soprattutto delle brutture degli allevamenti industriali, da cui provengono le carni che noi compriamo e mangiamo. La parte iniziale, scritta con un brio ironico che si mantiene per tutto lo scritto, mi ha irretito con questi ricordi; mi ha fatto pensare che il cibo, davvero, racconta la storia delle persone, delle culture, delle famiglie e addirittura di un popolo. Il cibo è cultura; e, a maggior ragione, è un modo per rapportarsi col mondo.

Il cibo, – nella fattispecie la carne , e non ci avevo mai pensato a fondo- non sbuca dal nulla sulla mia tavola, nella mia cucina. Questo libro parla anche del rapporto che vogliamo avere con il cibo, e di come mangiare, in fondo, sia qualcosa di più che semplicemente nutrirsi: mangiare vuol dire ambiente, inquinamento, onestà intellettuale, capitalismo e assuefazione, informarsi e rifiutare… e potrei andare avanti… e tutto questo l’ho scoperto tra queste pagine. Mi ha affascinato il punto di vista di un vegetariano che ha fatto questa scelta non perchè ama la verdura, e non solo perchè ama gli animali…

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